Le contestazioni dei penalisti sulla compressione del diritto di difesa e sul capitolo impugnazioni

Tribunale di giustizia

Mentre in Senato si segna il via libera al Senato alla rimozione dal Codice penale del reato di abuso di ufficio, che impegnerà il governo a costituire un tavolo di lavoro per un riordino dei reati contro la pubblica amministrazione e un osservatorio volto ad operare un monitoraggio che valuti l’impatto nel sistema dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, gli avvocati penalisti dal loro canto continuano la loro agitazione, in segno di protesta attraverso lo in sciopero posto in essere da oggi fino al 9 febbraio 2024.

Verso l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio.

Abolizione, che pur trovando il favore della maggioranza, viene ancora vista con perplessità da molti esponenti del settore come ad esempio Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale nell’Università degli Studi di Milano, che in un’audizione in parlamento aveva ribadito la sua contrarietà, sia per evitare di creare un vuoto normativo sia per il fatto che l’abolizione dell’abuso d’ufficio, unita alla limitazione della responsabilità erariale, può invece favorire nella pubblica amministrazione atteggiamenti superficiali, ridurre la qualità dell’amministrazione assieme alla sua imparzialità. Con buona pace dell’articolo 97 della Costituzione e dell’etica pubblica.

Tra i penalisti continua l’agitazione.

Intanto, i penalisti continuano le loro contestazioni e gli scioperi. Svariati sono i nodi da sciogliere in merito alle modifiche al diritto proposte dalla riforma Cartabia, tra cui l’irrazionale moltiplicazione delle fattispecie di reato e l’aggravamento delle pene, la compressione del diritto di difesa e delle impugnazioni, il tema delle intercettazioni tra difensori e assistiti, l’assenza di provvedimenti da parte del governo per ridurre il sovraffollamento delle carceri. Su quest’ultimo capitolo, l’avvocatura sostiene che benché sia dimostrato che il sistema carcerocentrico incrementi la recidiva, sensibilmente contenuta invece attraverso le misure alternative e delle pene sostitutive, si continua ad affidare allo strumento repressivo penale la risposta alla legittima richiesta di sicurezza che proviene dalla collettività portando al collasso l’intero sistema.

Provvedimenti di depenalizzazione e misure alternative.

I penalisti chiedono di rimediare al fenomeno del sovraffollamento delle carceri anche con provvedimenti di clemenza come l’amnistia e l’indulto. Per ridurre il carico di lavoro dei processi penali bisogna ricorrere ad una seria depenalizzazione, all’amnistia e all’indulto, quando invece le norme esistenti e quelle introdotte dalla Riforma Cartabia sono caratterizzate esclusivamente dall’interesse ad affrettare in modo quantitativo la chiusura dei processi. I penalisti contestano anche anche l’art. 581 comma 1 quater c.p.p., che richiede dopo la condanna, il conferimento di uno specifico mandato al difensore per impugnare la sentenza quando l’imputato era rimasto assente in primo grado.

Una norma che secondo gli avvocati lede la dignità del difensore, ne restringe le facoltà proprie e danneggia i soggetti più deboli che usufruiscono della difesa d’ufficio. La norma non è stata modificata dal Governo, sostengono i penalisti, perché contribuisce in maniera significativa all’alleggerimento del ruolo delle Corti di Appello e della cassazione, contribuendo a realizzare gli obiettivi del PNRR. Un risultato di efficienza che per l’avvocatura non dovrebbe mai essere perseguito a scapito del diritto ad impugnare sentenza ingiuste.

Gravi limitazioni all’esercizio del diritto di difesa.

Queste formalità introdotte dalla Cartabia hanno natura vessatoria per l’esercizio del diritto di difesa, perché già esiste una precedente nomina del difensore di fiducia e perché già esiste una precedente dichiarazione di elezione di domicilio rilasciata dall’assistito nella fase iniziale delle indagini preliminari. Questi impedimenti di natura tecnica sono inutili rispetto al preesistente mandato difensivo conferito in primo grado e creano gravi ostacoli al diritto di difesa, e sono frutto di una politica giudiziaria che più in generale punta a minimizzare il ruolo dell’avvocato nel processo.

Ridurre il carico pendente ricorrendo in modo eccessivo alle inammissibilità.

Il giudizio di Appello è in grave pericolo a causa delle sue limitazioni. Il vero attacco all’autonomia della Magistratura è dato da queste istanze di efficientismo autoritario che piegano il processo penale e le garanzie difensive alle richieste imposte dal P.N.R.R. violando le norme a tutela del diritto di difesa ed ignorando che la ragionevole durata del processo si deve coniugare con la qualità del giusto processo. Secondo i penalisti la volontà del legislatore è quella di ridurre il carico dei processi ricorrendo in modo eccessivo alle inammissibilità nei processi nei vari gradi d’impugnazione, limitando così in maniera illegittima il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione.

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